
Abu Dio della Vegetazione
Il primato antropologico del sacro
Per gli uomini del passato il ritmo che regolava le loro vite era ciclico, ripetitivo ed era il riflesso dell’universo divino, di un mondo mitico appartenente alla sfera del sacro.
Mircea Eliade nel suo Il Mito dell’Eterno Ritorno analizza questa corrispondenza con il mondo divino che è esistita nelle tradizioni delle diverse civiltà degli uomini. Il fattore religioso e più ancora quello mistico, sono per Eliade la chiave di volta per la comprensione dell’essenza dell’uomo.
Egli afferma che, dall’arte all’architettura, ogni costruzione era concepita come un tentativo di ricalcare le piante celesti dell’universo divino.
La fondazione stessa di una città era vista come atto simbolico della creazione divina dove il centro della costruzione era consacrato tramite uno specifico rito che aveva comunque un’origine divina derivante da un primo atto compiuto dagli antenati, da antichi eroi o da Dio stesso.
In pieno XX secolo Mircea Eliade resta un grande sostenitore del valore profondo dell’esistenza arcaica e del primato del sacro su ogni aspetto della vita dell’uomo.


Abu Dio della Vegetazione
Montagne Sacre Artificiali
Il paesaggio della Mesopotamia era puntellato di imponenti edifici-torri a pianta quadrangolare, le Ziqqurat, vere e proprie montagne artificiali sacre: è questo il significato del termine Ziqqurat.
Esse rappresentano la comunicazione tra il mondo umano e quello divino.
Edificate con mattoni crudi rivestiti con mattoni cotti, anche inframmezzati con canne, e quindi essiccati al sole, sono architetture complesse, costruite con tecniche sconosciute agli uomini europei, immersi in uno stadio preistorico.
Nel suo Trattato di storia delle religioni, Mircea Eliade chiarisce il significato simbolico e religioso delle Ziqqurat:
Il termine sumerico per indicare la Ziqqurat è U-Nir (monte), che Jastrow interpreta come ‘visibile a grande distanza’. La ziqqurat era, propriamente, un ‘monte cosmico’, cioè un’immagine simbolica del Cosmo; i suoi sette piani rappresentavano i sette cieli planetari (come a Borsippa) o avevano i colori del mondo (come a Ur).
L’iconografia mesopotamica mantiene intatte alcune caratteristiche, la principale tra queste è senz’altro il legame d’ogni forma d’arte al rituale religioso: l’uomo dipendeva in modo assoluto dal volere delle divinità.
I Santuari in Mesopotamia
Tra il 1929 e il 1937 Henri Frankfort, archeologo olandese e direttore dell’Oriental Institute dell’Università di Chicago, condusse degli scavi in Mesopotamia.
Nella regione della Diyāla (medio Tigri a 32 km a nord est di Baghdad) a Tell Asmar, nome moderno di Eshnunna, gli scavi effettuati rivelarono che il sito era occupato ben prima del 3000 a.C.
Gli scavi evidenziarono l’Eanna, il Santuario, un insieme di grandi edifici collegati da spazi aperti e porticati, un unico complesso monumentale dove parallelamente si svolgevano attività economiche, amministrative e religiose.

Tell Asmar (Eshnunna), Early Dynastic period, 2700 BCE
Sotto l’altare furono rinvenute 12 statuette che presentano notevoli particolarità stilistiche come gli enormi occhi e le mani giunte.
Sono ritenuti oggetti votivi poiché in essi si ripete lo schema iconografico del fedele in atto di preghiera con le mani al petto.


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Le Statue degli Oranti di Tell Asmar
Questo gruppo di statuette conosciuto come gli Oranti di Tell Asmar, rappresentano 12 figure umane in piedi, con le mani al petto, in quella che secondo gli studiosi occidentali è la tipica posizione di preghiera.
Le statuette di Tell Asmar risalgono ad un periodo compreso tra il 2900 a.C. e il 2500 a.C. e variano in altezza da 21 cm a 72 cm.
Delle dodici statue, dieci rappresentano individui di sesso maschile e due individui di sesso femminile. Otto delle figure sono fatte di gesso, due di calcare e le più piccole di alabastro.

Abu Dio ella Vegetazione
Una Coppa tra le Mani
La rara scoperta a Tell Asmar di questo deposito di statuette interrate ci ha restituito l’immagine del dio Abu, identificato dal suo emblema alla base di una delle statue.
Il dio che, con i suoi immensi occhi che tutto vedono, doveva incutere rispettoso timore. L’enfasi maggiore è tuttavia riposta sulle braccia con gomiti appuntiti e mani alzate, giunte e lo sguardo fisso degli occhi enormi rivolto verso l’infinito.
Il movimento verso l’alto delle mani riassume il raccoglimento spirituale della preghiera, mentre i bicchieri che alcune statuette sorreggono fanno riferimento a schemi rituali.
In particolare, la figura più grande che rappresenta il dio Abu, sorregge un bicchiere dai bordi a profilo svasato. Questi oggetti, di gran valore, potevano essere sorretti dai Re o dalle Divinità. ( Vasi iranici in metallo dell’Età del Bronzo di Gloria M. Bellelli)
Alcuni studiosi si spingono oltre, ritenendo che la coppa stretta fra le mani dal dio Abu rappresenti un arcaico Santo Graal a simboleggiare una linea di sangue creata dagli dei degli Anunnaki con gli uomini della Terra.
Perchè dedicare un Tempio al Dio della Vegetazione?
Il dio Abu era il padre delle piante e della vegetazione e, più ampiamente, della fertilità.
Di nuovo, troviamo assimilate le Piante al concetto di Vita, di fecondità dove l’albero è uno dei grandi miti della tradizione e i testi fondatori delle grandi religioni pongono un albero all’inizio della storia del genere umano.
Lo stesso nome di Babilonia è evocativo: anticamente la città era anche conosciuta con il nome di Tintir, ossia Bosco di Vita.
Questi luoghi conosciuti come Mezzaluna Fertile che comprendono Iran, Iraq, Siria, dal Golfo Persico al Mar Rosso sono ritenuti la Culla della Civiltà. Territori particolarmente ergetici che non trovano pace: i siti antichi furono abbondantemente razziati dai primi archeologi europei, poi perforati per l’estrazione del petrolio e il passaggio degli oleodotti; infine teatro dell’occupazione di eserciti internazionali tra violenza e vandalismo.

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