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Etruscan Corner Banchetti Etruschi

Banchetti Etruschi

Gli storici da sempre sono concentrati sulle origini del popolo etrusco da dimenticare che la loro vita era ricca e multiforme, né più né meno che le altre popolazioni.
Lo storico Teodoro Mommmsen nel 1854 afferma che è relativamente importante da dove gli Etruschi arrivassero quanto invece fosse più interessante la loro Storia. Infatti, degli Etruschi abbiamo informazioni spesso parziali e improntate da uno spirito di rivincita di storici romani e greci.
Teopompo, storico greco, nel IV secolo a.C. descrive la disinvolta vita etrusca dove le donne si accompagnavano con uomini che non erano i loro mariti, bevevano e avevano (addirittura!) gli stessi diritti dei maschi.
Erodoto ci racconta degli antenati degli Etruschi che ebbero a subire una tremenda carestia tanto da costringere il loro re Atys a dividere il popolo, costringendone una parte ad abbandonare la loro terra d’origine ed emigrare verso l’Italia.
La fertile terra di Etruria fatta di colline e pianure trovò nei nuovi coloni abili agricoltori ed esperti ingegneri, capaci di bonificare malsane paludi trasformandole in orti, giardini, campi e vigneti. Non di meno gli etruschi si dimostrano bravi cacciatori. Il filosofo Eliano (I sec. a.C.) nella sua opera Storia degli Animali descrive i metodi di caccia e pesca adottati dagli Etruschi che utilizzavano reti e cani e, meglio ancora, la musica. Secondo il filosofo, gli Etruschi ritenevano che il suono melodioso del doppio flauto che si levava nella solitudine delle campagne avesse un affetto seducente e inebriante sugli animali che, dimentichi del pericolo, abbandonavano le loro tane per andare incontro al loro destino di prede.
In molte tombe etrusche ritroviamo situazioni di caccia, pesca, vita domestica con pitture di dispense che conservano animali appesi e i preparativi per un banchetto (Tomba dei Sette Camini, Orvieto)dove cuochi e servi sono affaccendati nei preparativi: chi impasta pane e focacce, che smembra la carne, che prepara il fuoco. Il tutto accompagnato sempre dal suono del flauto. Un’altra tomba, questa volta a Cerveteri, ci propone tutta una serie di utensili indispensabili in una cucina, diligentemente scolpiti e appesi alle pareti: mestoli, tazze, teglie, pentole, coltelli come pronti all’uso. L’iconografia etrusca è ricchissima di temi legati al banchetto come momento fondamentale della quotidianità, ritenuto luogo perfetto per socializzare e condividere il frutto di una vita di lavoro. È inoltre documentato che gli Etruschi fin dai tempi arcaici mangiassero seduti e solo successivamente, nel VI sec. a.C. dopo i contatti con i Greci e i Fenici, introducessero l’usanza di banchettare sdraiati. Ma la particolarità era che le donne si sdraiassero accanto agli uomini in una situazione di parità e questa insolita moda era poco condivisa da altre popolazioni che invece ritenevano le donne inferiori.  Diodoro Siculo imputa la decadenza degli Etruschi a questo stile di vita tutto dedicato alle mollezze dei convivi, alle delizie gastronomiche e ai facili amori.

Numerose sono le rappresentazioni del banchetto, che possiamo vedere negli affreschi delle tombe e i ricchi corredi funerari che comprendevano spiedi per arrostire le carni e grossi calderoni per bollire i cibi. Per gli Etruschi il banchetto aveva un doppio significato: faceva parte della cerimonia religiosa e poteva essere simbolo di appartenenza ad una élite sociale. Ai fastosi ricevimenti partecipavano uomini e donne di alto rango che si sdraiavano a coppie su letti conviviali, detti klinai, mentre musicisti e danzatori rallegravano il pasto.
I banchetti etruschi iniziavano con una portata obbligatoria: le uova che rappresentavano la fertilità e la ricchezza. Seguivano poi carni arrostite, il sanguinaccio, la cacciagione (cervo, fagiani e cinghiale), la porchetta, i pesci e e i molluschi. Seguivano dolci e frutta di ogni genere, torte a base di formaggio, miele, frutta secca e uova.
Orazio nelle Satire, descrive un banchetto tenutosi nella villa di Gaio Cilnio Mecenate, famoso etrusco di Arezzo, protettore di artisti, intellettuali e poeti:

Ecco avanza Nasidieno, e dietro a lui valletti che portano su un gran piatto pezzi di gru cosparsa di sale e di molto farro, e il fegato di un’oca bianca ingrassata con fichi succosi, e i soli quarti davanti di lepri, assai delicati a mangiarsi che non i quarti di dietro. Poi ci vennero imbanditi merli col petto rosolato allo spiedo e colombi senza i quarti di dietro: tutti cibi squisitissimi.

Tovaglie ricamate, ceramiche raffinate arricchivano la tavola. Gli Etruschi apprezzavano il vino, molto forte, che mescolavano con acqua e aromatizzavano con miele, spezie e accompagnavano con formaggio.
Ma non c’erano solo banchetti sfarzosi. Nella cucina quotidiana il cibo era più semplice: frutta secca, fichi, piatti a base di farro, lenticchie, ceci e fave.
Alla base di tutto erano i cereali, della cui produzione gli Etruschi erano maestri: frumento, farro, orzo, che venivano consumati sotto forma di farinata e di polenta (la puls dei latini). Molto consumati erano i legumi, lenticchie, fave, ceci e piselli, cucinati in zuppe oppure bolliti. Tra gli ortaggi troviamo la lattuga, il cavolo, il porro, mentre carciofi ed asparagi erano riservati ai nobili. Molto diffuso era il consumo e la conservazione delle castagne, determinanti per la sopravvivenza in caso di carestie e pestilenze. Questa dieta, di per sé ricca di carboidrati e proteine vegetali, veniva integrata con mele, pere, noci, olive conservate, latticini, carne di pollo, pecora e capra. La cacciagione era propria delle classi patrizie perchè animali come il cervo erano considerati nobili e quindi riservati ai nobili.
Nel VII secolo gli Etruschi iniziano a produrre il loro vino e a commercializzarlo, insieme all’olio, come dimostrano alcune anfore vinarie prodotte a Vulci e ritrovate in molti paesi mediterranei.
Non siamo in grado di definire un ricettario etrusco: possiamo basarci sulla presenza di piatti nella cucina dell’Italia centrale le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Una è sicuramente l’Acqua cotta, una gustosa zuppa a base di cicoria, cipolla, olio, carote, basilico, pecorino grattugiato e uovo.
Quando i pastori delle selvagge campagne maremmane si trovavano a seguire le mandrie ai pascoli, cercavano le erbe spontanee che poi facevano bollire con lardo, cipolla, funghi e altri odori, a seconda della stagione. La zuppa veniva poi versata su fette di pane abbrustolito, accompagnata da formaggio pecorino.
La ricetta originale conserva tutta la sua genuinità e il suo sapore gustoso: sarà come fare un viaggio indietro nel tempo.

 

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